Storia del Palazzo Reale di Caserta
La storia della Reggia ha inizio il 28 agosto del 1750,
quando Carlo di Borbone, re delle Due Sicilie da 16
anni, acquista dagli eredi della famiglia Caetani
Acquaviva il territorio pianeggiante, ai piedi dei Monti
Tifatini, dove si trovavano un piccolo villaggio ed una
torre piramidale, un "torrazzo", precisamente. Il costo
di quella transazione tolse alle casse regie ben 489.343
ducati (come si rileva dai documenti dell'epoca), ma la
spesa venne ritenuta necessaria per la realizzazione di
un progetto che da tempo il sovrano accarezzava: la
"riorganizzazione militare ed amministrativa del regno"
(come scrive l'architetto Gian Marco Jacobitti,
Sovrintendente ai Beni Ambientali e Architettonici di
Caserta in una sua opera). Una iniziativa che non voleva
limitarsi ad edificare una reggia che competesse per
splendore con quella di Versailles, ma che puntava a
dare al regno una nuova capitale, lontana dal mare e
dalle offese che da questo potevano venire, come era
stato dimostrato dalla flotta inglese nel 1742, quando
questa aveva minacciato di bombardare Napoli (e come
avverrà oltre mezzo secolo dopo, quando ad ormeggiare
nelle acque si presenterà Nelson con le sue cannoniere
per costringere alla resa i capi della Repubblica
Partenopea del 1799 ed impiccare al più alto pennone
della sua ammiraglia Francesco Caracciolo).
Una città nuova, insomma, della quale il Palazzo Reale
costituisse il centro propulsore ed amministrativo. Un
progetto ambizioso, per il quale si rendeva necessario
assumere un architetto all'altezza del compito, cui
dovettero rinunziare Ferdinando Fuga (impegnato oltre
ogni limite all'Albergo dei Poveri ed alla maestosa
antistante piazza) e Nicola Salvi (che stava lavorando
alla pontificia Fontana di Trevi). Fu proprio dal Papa -
Benedetto XIV - che Carlo di Borbone, destinato a salire
al trono di Spagna col nome di Carlo III, ricevette il
consenso e l'autorizzazione ad assumere un architetto
napoletano, di origine olandese, che stava lavorando
alla preparazione del Giubileo del 1750: Luigi
Vanvitelli. I contatti ebbero inizio nello stesso 1750,
quando il già cinquantenne Vanvitelli presentò al
Borbone i suoi piani. Nel 1751 il progetto fu
ufficialmente presentato al re, del quale ottenne
consenso ed approvazione. Poco meno di due anni e mezzo
dopo la transazione con i Caetani Acquaviva, e
precisamente il 20 gennaio del 1752, veniva posata la
prima pietra dell'opera. Frano presenti il re e sua
moglie Amalia di Sassonia, il ministro Tanucci, il
Nunzio Apostolico e numerosi dignitari. Sette anni dopo,
con i lavori in pieno fermento, Carlo lasciava la sua
Napoli per trasferirsi a Madrid come sovrano di Spagna.
Nel 1773 moriva Luigi Vanvitelli e la costruzione non
era ancora ultimata; soltanto nel 1847, a distanza,
quindi, di quasi un secolo dalla posa della prima
pietra, veniva ultimata la Sala del Trono: l'opera
poteva considerarsi compiuta, anche se con qualche
rimaneggiamento rispetto all'originario disegno
vanvitelliano, dovuto non tanto alla morte del grande
architetto, cui era succeduto il figlio, chiamato Carlo
in onore del sovrano, quanto al "diminuito interesse"
(come scrive il Soprintendente Jacobitti) scaturito
dalla partenza di Carlo di Borbone e dagli impegni
spagnoli che lo distraevano dal ricordo e dalla
nostalgia della "sua" Napoli e della "sua" Caserta.
La Reggia, in ogni modo, si poneva come cuore pulsante
della nuova capitale vagheggiata da Re Carlo: un
impianto urbanistico moderno, una città-corte che
competesse con Versailles e costituisse simbolo di
prestigio della Casa Borbonica per magnificenza, per
monumentalità, per volumetrie e per estensione. Una
città che andava sorgendo, a mano a mano, intorno
all'antico "torrazzo" degli Acquaviva ed al loro
cinquecentesco palazzo, richiamando abitanti della zona
e, soprattutto, quelli della vicina, antica Casa Hirta
(oggi Borgo Medioevale di Casertavecchia). Un impianto
urbanistico che regge perfettamente anche oggi, a
distanza di oltre due secoli dalla sua progettazione, e
che tuttora esalta la funzione del Palazzo Reale e del
suo Parco. La Reggia, sulla scorta dei meticolosi
documenti contabili di Corte, costò una cifra enorme per
l'epoca: ben 6.133.507 ducati, dodici volte e mezzo il
costo di tutto il territorio ceduto dagli eredi degli
Acquaviva, ed impegnò un numero imprecisato - ma
certamente altissimo - di maestranze, tra le quali
schiavi e galeotti musulmani "catturati dalle navi regie
sul Mediterraneo o lungo la costa libica" (Gian Marco
Jacobitti). Accurata fu la scelta dei materiali: il tufo
da San Nicola La Strada, il travertino da Bellona (la
famosa "pietra di Bellona"), la calce da San Leucio, la
pozzolana da Bacoli, il laterizio da Capua, il ferro da
Follonica, il marmo grigio da Mondragone e quello bianco
da Carrara.
La pianta del palazzo è rettangolare, con i lati di
metri 247 e 190, un perimetro di 874 metri, un'altezza
di 41 metri, una superficie di oltre 44.000 metri, e una
volumetria di quasi 2.000.000 di metri cubi. L'area
interna è divisa in quattro per altrettanti cortili e
con due corpi di fabbrica che si intersecano ad angolo
retto. Ognuno dei quattro grandi e splendidi cortili ha
gli angoli smussati da un taglio a 45 gradi, e questo
accorgimento, insieme con le geniali intuizioni di
Vanvitelli, contribuisce ad evitare le rozze squadrature
che sarebbero state inevitabili per la mole
dell'edificio, "rendendo l'architettura più fluida e
meno massiccia di quello che potrebbe apparire a prima
vista" (Gian Marco Jacobitti). Alla Reggia Vanvitelli
progettò un accesso da Napoli altrettanto monumentale e
maestoso, con un grande vialone (oggi Viale Carlo III)
che si innesta su un doppio emiciclo che forma la grande
Piazza Vanvitelli, e dal quale si scorge, fin da
lontano, la facciata della costruzione, che appare d'un
delicato rosa che si sta-glia sull'azzurro del cielo ed
il verde delle colline. Oltre ai cortili ed agli altri
spazi creati dall'intersezione dei corpi di fabbrica, il
Palazzo Reale comprende 1.200 stanze con 1.742 finestre
(245 delle quali si aprono nella facciata). Struttura
polifunzionale nel progetto vanvitelliano, la Reggia
doveva comprendere, oltre agli alloggi reali, gli
alloggiamenti della truppa, gli uffici amministrativi,
la cappella, il teatro: dei 1.200 vani soltanto 134,
infatti, erano destinati alla famiglia reale.
La Reggia di Caserta appartenne alla Casa Borbone per
oltre un secolo: dal 1752 al 1860, anno in cui passò ai
Savoia. Un decreto ministeriale la attribuì al demanio
dello Stato Italiano nel 1919. La vicenda della Reggia
di Caserta si sovrappone perfettamente al tracciato
storico degli oltre due secoli della sua vita. Vanto,
orgoglio e fasto dei Borbone all'inizio, controllata per
brevissimo tempo dalla Repubblica Napoletana nel 1799 e
nello stesso anno riappropriata al Borbone fino al 1805,
quando le sorti di Napoleone portarono il condottiero
corso a dominare l'intera Europa e ad assegnare prima al
fratello del Bonaparte, Giuseppe, e poi, nel 1808, a
Gioacchino Murat il Regno delle Due Sicilie, tornò alla
Casa Borbone con la caduta delle aquile napoleoniche ed
il susseguente Congresso di Vienna nel 1815. Seguì il
periodo Savoia dal 1860 al 1919. Dal 1926 e negli anni
che precedettero e videro lo svolgersi del Secondo
Conflitto Mondiale, e fino al 1943, ospitò l'Accademia
dell'Aeronautica Militare Italiana. Il 14 dicembre del
1943, dopo lo sbarco degli Alleati a Salerno, fu
occupata dalle Armate Alleate. Il 27 aprile del 1945
accolse i plenipotenziari che vi firmarono la resa delle
armi germaniche in Italia. Nel luglio del 1994, infine,
ospitò per una cena offerta dal Presidente della
Repubblica i Capi di Stato in occasione del Vertice G7.
Attualmente ospita la Soprintendenza ai Beni Ambientali
Artistici Architettonici e Storici di Caserta (cui è
affidata in consegna), l'Ente Provinciale per il Turismo
di Caserta, la Società di Storia Patria, la Scuola
Superiore della Pubblica Amministrazione, la Scuola
Sottufficiali dell'Aeronautica Militare ed alcuni
alloggi di servizio.
Il genio di Vanvitelli si rivela nell'architettura
dell'imponente complesso, che occupa uno spazio immenso
e consta della grande Piazza antistante la Reggia, il
Palazzo Reale, il Parco e il Giardino Inglese. Quanto
all'architettura, il Soprintendente Gian Marco Jacobitti
- architetto anch'egli - rileva che "è notevole la
continuità di un asse prospettico" ottenuto attraverso
la sequenza dei vari elementi: il Viale Carlo III, la
Galleria del Palazzo, il Viale del Parco, la grande
Cascata. Così, ancora, l'architetto Jacobitti descrive
la costruzione in un'opera edita nel 1992
dall'Editoriale Museum di Roma: "Il prospetto anteriore
della Reggia, eseguito parte in travertino e parte in
laterizi, si sviluppa su uno schema orizzontale composto
da un basamento a bugnato e da un maestoso ordine
com-posito cui fa da chiusura, in alto, un attico
realizzato alla maniera classica, aperto in piccole
finestre e coperto da un cornicione sormontato da una
balaustra. Ai due angoli e nella parte centrale, la
facciata viene leggermente più avanti, evidenziando
l'ingresso principale e le due estremità del fabbricato.
Il movimento ad arco della porta centrale è ripetuto
nella parte superiore da una nicchia aperta tra finestre
con timpani triangolari e coppie di colonne scanalate".
Luigi Vanvitelli (Napoli, 26 maggio 1700-Caserta, i
marzo 1773), che aveva lavorato per lo Stato Pontificio
ed aveva realizzato nelle Marche ed a Roma opere di
grande impegno, aveva ereditato dal padre Gaspare (dal
cognome, Van Wittel, ancora nella grafia originaria)
l'amore per la pittura, cui era stato dapprima
indirizzato. Ben presto, però, si sviluppò e prevalse il
richiamo dell'architettura, della quale ebbe una visione
personale cui molto dovettero incidere, quanto a senso
armonico e grandiosità, gli studi proprio della pittura
ed il ricordo dei quadri del padre Gaspare. Suo maestro
fu Filippo Juvara, autore, tra le altre opere, della
Basilica di Superga, dell'esterno del Palazzo Reale di
Madrid e della Sacrestia di San Pietro; e da Juvara
trasse gli elementi dell'architettura classica. Da solo,
poi, proseguì gli studi osservando e misurando
scrupolosamente i monumenti di Roma, appassionandosi a
Vitruvio ed ai trattatisti del '500 e, finalmente,
eseguendo i primi progetti: il restauro del Palazzo
Albani e delle chiese di San Francesco e di San Domenico
a Urbino. In collaborazione eseguì l'Acquedotto di
Vermicino (e questa esperienza si rivelerà fondamentale
per la realizzazione del grande Acquedotto Carolino,
lungo 41 chilometri, per alimentare la Cascata nel Parco
della Reggia di Caserta). Pur legato culturalmente ai
progetti di Juvara, di Borromini, di Bernini, Vanvitelli
sviluppò una propria originale visione architettonica, e
l'incarico offertogli da Carlo di Borbone gli fornì
l'occasione per metterla in pratica in maniera
grandiosa. Le reminiscenze barocche, i modelli di
Borromini, di Guarini e di Bernini che affiorano nel
progetto del Palazzo Reale di Caserta non prevalgono
sulle intuizioni vanvitelliane e non turbano l'unità
dell'insieme: l'unicità dell'opera vanvitelliana rivela
la forte personalità dell'architetto e costituisce le
basi del gusto neoclassico che si affermerà negli anni a
venire. C'è, semmai, da dolersi del fatto che la morte
lo abbia colto prima che potesse portare completamente a
termine - ed a suo modo - sia la Reggia e sia,
soprattutto, il progetto dell'avveniristica città di
Caserta, che avrebbe precorso di un secolo le conquiste
urbanistiche della seconda metà dell'Ottocento ed
influenzato quelle dei giorni nostri. Nel Museo
dell'Opera, allocato nella Reggia, possono essere
ammirati i disegni originali del Vanvitelli ed avere una
veduta d'insieme e completa dell'opera come egli l'aveva
immaginata; mentre la visita alla Reggia ed al Parco è
paradigmatica per constatare, vivendone gli spazi,
quanto grandiose siano state le intuizioni del genio
vanvitelliano