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"Il  corteggiamento nel Medioevo"

Ripercorrere la storia del corteggiamento, come conquista dell’oggetto del desiderio, significa attraversare ambiti diversi, anche molto distanti tra loro, dalla sfera sentimentale a quella delle strutture familiari, dalla dimensione sessuale al rapporto di coppia. Si tratta, certo, di un fenomeno antichissimo, caratterizzato da mutamenti e permanenze, da sedimentazioni e rifiuti, che vede nel Medioevo un momento cruciale per l’elaborazione di una nuova concezione dell’amore in Occidente.
È tra l’IX e il XII secolo che l’uomo sperimenta per la prima volta l’introspezione, l’analisi dell’io: attraverso i grandi romanzi medievali, dal ciclo bretone a Tristano e Isotta, si scopre che non tutto è deciso da sempre, come accade nell’epica classica.
Il cavaliere è chiamato a prove difficili, su cui deve compiere scelte individuali contrastate e dolorose. Gli ideali cortesi trovano allora conferma nella coerenza delle azioni, alla ricerca di un bene che non è mai raggiungibile e che pone l’eroe in conflitto con le norme sociali dominanti.
La grandezza del cavaliere sta proprio in questo suo non arrendersi mai alla ricerca di un assoluto, che vede nel mondo circostante il suo primo limite.
Ed è proprio l’amore cortese, da cui deriva il termine stesso "corteggiamento", ad esprimere meglio questo particolare stato d’animo: Lancillotto, così come Tristano, sfida la società, le regole convenzionali – il matrimonio, la presenza di un altro uomo - poiché l’amore s’impone come forza totale, lontano da qualunque compromesso con la normale quotidianità.
Alla base dell’amore cortese, così drammaticamente infelice, vi sono forti influenze religiose: la passione, "uccisa" dalla Chiesa e dal matrimonio procreativo, è trasfigurata in un ideale astratto, continuamente ostacolata nel raggiungimento del possesso. Ciò comporta una valorizzazione estrema della fase del corteggiamento, che coincide con la forma patologica dell’amore impossibile, inseguimento dell’assenza che la poesia provenzale renderà così bene nei suoi versi, e che s’imporrà come forma esemplare del sentire nei secoli a venire.
Al "mito" dell’amore infelice ha corrisposto nel tempo una precisa codificazione del comportamento maschile e femminile all’interno del corteggiamento. Esso, almeno sino alla nascita della famiglia borghese, non ha nulla a che spartire con il matrimonio, imposto ai figli dai genitori, e che risponde a esigenze dinastiche ed economiche, non certo sentimentali: questo è valido soprattutto per le classi alte, aristocratiche e "gentili" di spirito e di cultura, per le quali le scaramucce amorose divengono motivo di preparazione all’atto sentimentale.
Corteggiare significa allora fare uso sapiente di sguardi, di sfioramenti in cui il ruolo delle mani diviene centrale, di carteggi in cui il linguaggio dei profumi, dei colori, dei fiori, degli oggetti i pegni d’amore, delle parole, sono dominanti.Nel Cantico dei Cantici, uno dei brani più sublimi e armoniosi dell'Antico Testamento oltre che testo fondamentale del simbolismo cristiano, la vite domina la scena che vede due giovani innamorati cantare i piaceri e i tormenti del loro cuore: Canta la ragazza:

Mi ha condotta nella casa del vini
e la sua armata contro di me è amore.
Ravvivatemi con focacce d'uva
rianimatemi con cedri:
sono malata d'amore io!
Prendete le piccole volpi che devastano le vigne:
le nostre vigne sono in fiore!

Di rincontro l'innamorato:

Il fico emette le sue gemme,
e le viti in fiore esalano profumo.
Alzati amica mia, mia bella, e vieni!
All'alba scenderemo nelle vigne,
vedremo se la vite germoglia,
se sbocciano i fiori,
se fioriscono i melograni...
Mi siano i tuoi seni
come i grappoli della vite,
il profumo del tuo respiro
come quello dei cedri
e il tuo palato come ottimo vino
che scende dritto alla mia bocca
e fluisce sulle labbra e sui denti!
...là ti darò le mie carezze.

(Cantico dei Cantici 7, 1-3, 9-10)